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Ruffini: «Ecco chi ci blocca nella caccia all’evasione: abbiamo i dati ma non siamo autorizzati a usarli»
Ernesto Maria Ruffini dal gennaio del 2020 è stato richiamato alla guida dell’Agenzia delle Entrate dal secondo governo Conte. Nella prima esperienza alla guida del Fisco, chiamato dal ministro Padoan ai tempi del governo Gentiloni, aveva creduto nella tecnologia imprimendo una forte accelerazione alla digitalizzazione. Aveva cambiato volto e trasformato Equitalia, per essere poi sostituito all’arrivo della nuova maggioranza post elezione del 2018. Non è un incarico semplice quello di capo delle Entrate. Ruffini poi, ha dovuto sconfiggere una dura malattia dal suo ufficio, come rivelato dall’allora ministro Gualtieri, perché dalla sua struttura passavano i ristori agli italiani nel periodo più buio del Covid. Più del ministro delle Finanze, chi guida le Entrate rappresenta la persona delle tasse con tutte le implicazioni tipiche dell’Italia: elevata pressione fiscale, elevata evasione, elevate complicazioni. Tutte cose che Ruffini sa benissimo. Ha fatto per 20 anni l’avvocato tributarista iniziando nello studio di Augusto Fantozzi. Poi la scelta di passare dall’altra parte, confermato nel suo ruolo dal governo Draghi su indicazione del ministro Franco. Questi sono gli anni della fatturazione elettronica, del modello 730 precompilato e, da ultimo, degli scontrini elettronici e del modello IVA precompilato. Ma non parlategli di Fisco amico…
«Né amico, né nemico. Il Fisco deve essere equo ed efficiente», risponde al telefono dal suo ufficio di Roma.
Evidentemente non è né equo né efficiente perlomeno per la politica visto che i leader dei partiti fanno a gara per cambiarlo. Ma qualcuno la chiama per chiederle consiglio?
«Einaudi metteva in guardia dai consigli teorici, scaraventando dalla torre — in realtà, li gettava nella Geenna — quelli che definiva gli astratti dottrinari. Come Agenzia delle Entrate ci limitiamo a mettere a disposizione delle istituzioni la nostra esperienza pratica, affinché qualunque scelta il legislatore intenda adottare, possa avere una sua concreta e semplice applicazione e non rimanere solo sulla carta. In altre parole, non si dovrebbe inseguire ad ogni costo la perfezione teorica assoluta, giacché il risultato potrebbe essere un’assoluta imperfezione pratica».
Non si nasconda dietro le parole. Ci sta dicendo che una riforma del Fisco non si improvvisa in poche battute …
«Ma no. Anzi, i tempi sono sicuramente maturi per una riforma che tenga conto anche del costo di impianto che ogni riforma strutturale comporta per l’amministrazione e per il contribuente, tanto più se potenzialmente complessa. Ma soprattutto per una riforma che sia ampiamente condivisa per garantire che le nuove regole abbiano una certa stabilità nel tempo ed evitare che dai cittadini alle imprese agli operatori del settore — amministrazione compresa — debbano continuamente adattarsi a mutate cornici normative».
Ogni giorno scopriamo che si vuol cambiare questo o quello. Lei forse si sarà abituato… noi contribuenti proprio no.
«Il Fisco è un’opera pubblica, forse la più importante infrastruttura del Paese, perché da essa dipendono tutte le altre che possono essere realizzate solo grazie alle risorse erariali. Ecco perché è oggetto costante di così tante modifiche. Un cantiere sempre aperto che richiede una progettazione di lungo periodo e una costante manutenzione ordinaria e straordinaria. Ma è un’anomalia il fatto che la dichiarazione precompilata abbia istruzioni che superano le 130 pagine, perché devono spiegare altrettante norme e disposizioni».
A volte si ha la sensazione che vogliano cambiare qualcosa che non conoscono.
«Nessuno può affermare di conoscere il sistema tributario nella sua interezza, proprio per la sua complessità. Tutti dobbiamo districarci in una giungla di leggi confusa e a volte incomprensibile. Eppure, il Fisco tocca ogni fase della nostra vita, a partire dall’attribuzione alla nascita del codice fiscale e della tessera sanitaria, passando per la registrazione dei contratti di affitto e dall’acquisto della prima casa, dall’apertura di una partita Iva fino alla dichiarazione di successione. Proprio per questo è necessaria una riforma condivisa a cui tutti possano offrire il proprio contributo. Perché il Fisco riguarda tutti noi e il futuro della nostra comunità».
Quello che teme è il patchwork di leggi appiccicate l’una sull’altra?
«Occorre sicuramente mettere mano alla giungla di norme che caratterizzano l’intero sistema tributario. Ma le leggi, da sole, non sono sufficienti a cambiare la vita dei cittadini. Anche la migliore delle norme senza un’amministrazione in grado di attuarla diventa inefficace. Alla pubblica amministrazione servono risorse infrastrutturali, capacità organizzativa e, dunque, risorse umane sempre più specializzate».
Ma intanto ritorna il Redditometro.
«Sotto varie forme, il redditometro in realtà non ci ha mai abbandonato dagli anni ’80 per verificare quei contribuenti che sembrano non svolgere alcuna attività che possa giustificare il loro tenore di vita. Ma il legislatore potrà introdurre anche nuovi e più evoluti meccanismi».
Posto che non si decida di fare cambi importanti come le tre aliquote proposte da Berlusconi.
«Ho letto con attenzione tutte le proposte avanzate dalle varie forze politiche e mi pare che tutte, nessuna esclusa, rappresentino una fortissima esigenza di cambiamento e di semplificazione. Aspetti questi sui quali sono convinto si possa trovare una sintesi, come quella emersa in questi giorni per i titolari di partita Iva, di superare acconti e saldi e finalmente rateizzare i versamenti mese per mese. L’ultima grande riforma tributaria, quella ideata da Cosciani, risale ai primi anni settanta. Con il tempo, molte di quelle leggi hanno perso la loro originaria funzione di bussola del contribuente e sono state sommerse da mezzo secolo di legislazione fiscale». FISCO